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Garlasco, la Playstation e le telefonate che accusano Andrea Sempio. L’avvocata: «Creano un mostro senza prove»

garlasco chiara poggi andrea sempio angela taccia alessandro biasibetti
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Dopo quello che c'è, è il momento di quello che manca. L'impronta sul muro della tavernetta e la spiegazione dei giochi da tavolo. Antonio B. e l'alibi di Vigevano. E quello che non torna nelle testimonianze

C’è una Playstation e ci sono dei videogiochi nell’accusa ad Andrea Sempio per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco. E c’è anche il dettaglio delle telefonate. Dopo aver messo in fila quello che c’è, però stavolta per capire l’indagine nei confronti dell’amico di Marco Poggi bisogna comprendere quello che non c’è. Mentre in paese c’è qualcuno barricato in casa. Si tratta di Antonio B., il pompiere conosciuto dalla madre dell’indagato Daniela Ferrari. E che è diventato decisivo per confermarne (o smentirne) l’alibi. E la sua avvocata Angela Taccia dice che «stanno creando un mostro» ma senza averne le prove. Fornendo insieme una spiegazione per l’impronta sul muro della tavernetta.

La Playstation e i videogiochi

Il procuratore capo di Pavia Fabio Napoleone, l’aggiunto Stefano Civardi e le pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza hanno scandagliato le precedenti dichiarazioni dell’indagato e degli amici. Per dare valore all’impronta numero 33. La «traccia di interesse dattiloscopico» già repertata nel 2007 in via Pascoli, sulla quale soltanto le «nuove potenzialità tecniche a disposizione» diranno la verità sull’eventuale presenza di sangue, va collegata alle parole di testimoni e indagati. Per esempio Marco Poggi nei giorni successivi all’omicidio dice che lui e i suoi amici rimanevano «nella saletta della tv, al piano terra». Oppure salivano in camera di Chiara al primo piano per usare il computer. All’epoca della prima inchiesta su Sempio nel 2017 Poggi ribadisce: «Quando Andrea veniva da me, passavamo il tempo a giocare ai videogiochi, nella saletta giù o sul computer che era in camera di Chiara».

Il salotto, la tavernetta, la camera di Chiara

I genitori di Chiara Poggi invece sostengono una prima volta che in casa loro Sempio «non c’è mai entrato, suonava il campanello, Marco usciva e andavano in giro per Garlasco». Dopo l’accusa qualcosa sembra cambiare. Perché l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia della vittima, dice nei giorni scorsi a Repubblica che le scale che invece portano alla tavernetta dove fu trovato il cadavere (e l’impronta) erano frequentate da Sempio perché lì il fratello di Chiara teneva la Playstation e i videogiochi. Una contraddizione rispetto a quanto dichiarato a caldo dalla madre e dal fratello di Chiara. I due, ricorda sempre il quotidiano, all’epoca sostengono invece che la consolle sia nella sala tv. Dove c’è «un mobile con quattro cassetti. Nel primo dall’alto ci sono le guide telefoniche e scatole di videogiochi».

Un dettaglio?

Nell’ultimo piano del mobile tv invece «c’è il videoregistratore e sopra la Playstation con accanto una consolle Nintendo». Invece nel seminterrato cosa c’è? «Scaffalature di metallo con sopra delle bottiglie di vino, riso, i resti dei cesti e pacchi di natale, giochi di società e da bambini, costumi da carnevale e scatole varie, un mobiletto con sopra delle riviste, scatole di scarpe, libri e altri oggetti che non ricordo», sono le parole di Marco Poggi all’epoca. Insomma, la Playstation e i videogiochi mancano dalla tavernetta nei ricordi a caldo. Riemergono all’epoca della prima accusa a Sempio. Si allargano oggi, con la seconda. Sembra un dettaglio insignificante? Probabilmente invece finirà nell’eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Anche perché a dire con certezza dove si trovavano Playstation e videogiochi sono le foto scattate dai carabinieri il giorno del delitto. La consolle è in salotto.

Le telefonate

Un’altra cosa che manca sono le telefonate. O meglio: di telefonate ce ne sono. Sempio chiama a casa Poggi il 7 e l’8 agosto 2007. Quando l’amico è già partito. C’è però un problema. In otto mesi Sempio non chiama mai casa Poggi. Comincia a farlo solo in quei giorni. Proprio quando l’amico non c’è. E c’è Chiara a casa che studia per gli esami all’università. C’è un elenco di 38 telefonate da inizio gennaio al 13 agosto 2007. Di cui 17 chiamate dal fisso dei Poggi al cellulare di Sempio e una verso la sua abitazione. I carabinieri concludono: «L’utenza cellulare di Sempio chiama casa Poggi cinque volte in otto mesi, tre volte per avvisare del rientro di Marco a casa la sera e due volte quando Marco è già partito, ovvero il 7 e l’8 agosto».

Antonio B. E l’alibi di Sempio

Poi c’è Antonio B. La Stampa va a cercarlo in casa e dice che è chiuso dentro da giorni. A verbale ha messo qualcosa che non sembra decisivo: «Non so dire con certezza se il 13 agosto 2007 io e la signora Daniela Ferrari ci siamo visti. Ma quando il giorno prima ci sentivamo, spesso il giorno dopo passavamo del tempo insieme». Ferrari è la madre di Sempio. Ha conservato lo scontrino del parcheggio del figlio. Di sicuro il giorno prima lei e il vigile del fuoco si erano scritti. Invece la procura pensa che quel giorno a Vigevano sia andata sua madre per incontrare il pompiere. E questo farebbe crollare l’alibi di Sempio.

L’avvocata Taccia

E c’è l’avvocata Angela Taccia. Parla oggi con Repubblica e dice qualcosa di molto significativo. Ovvero che Sempio scendeva nella tavernetta «per prendere dei giochi in scatola che tenevano lì». Non più videogame, insomma. E nemmeno Playstation. Poi, a proposito dei bigliettini che parlavano di «cose inimmaginabili» aggiunge che i carabinieri ne hanno ignorati altri. Quelli che descrivono «i momenti di difficoltà della vita, le buone azioni che secondo lui vanno fatte e non dette. Ci sono pagine del 2017 dove Andrea chiede e si chiede: ma perché ce l’hanno con me, ma cosa ho fatto? Lui ha sempre avuto fiducia nella giustizia. Non si è mai sottratto a niente. Adesso, è dispiaciuto».

I giochi in scatola

Infine, Paolo Berizzi le chiede che tipo di comitiva fosse la sua, che comprendeva Alessandro Biasibetti, oggi frate e suo ex fidanzato, a cui la procura preleverà il Dna. La risposta: «Un gruppo di sfigati. Non andavamo alle Rotonde perché era la discoteca dei fighetti. Andavamo al Pepe Club a ascoltare musica Ska e sinistrorsa. Ogni tanto si pogava. E giocavamo a giochi in scatola». Ancora giochi in scatola. E non videogame.

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